Lo spessore della moda: reale e di cultura.

“LO SPESSORE DELLA MODA: REALE E DI CULTURA”

La signora Prada ha aperto questo fashion month con la seguente dichiarazione “in momenti seri bisogna lavorare seriamente e responsabilmente, non può esserci spazio per la creatività inutile, la creatività ha senso ed è utile solo quando si scopre cose nuove”

Ed oggi, in chiusura di un mese davvero intenso, non possiamo che cogliere, in queste parole, una perfetta sintesi delle passerelle di New York, Milano, Londra e Parigi.

LA MODA SEMBRA AVER RITROVATO IL CONTATTO CON LA REALTA’

Gli stilisti hanno ridefinito e tracciato con chiarezza le identità di ciascun brand e i capi proposti rispondono a logiche di versatilità, praticità e durevolezza.

La moda ha fatto propria la capacità di creare progetti desiderabili senza smettere di fare cultura e ha abbandonato tematiche politiche come quelle di inclusività e body positivity.

Nell’ultimo mese ad esempio, sono stati pochi i casi di woke washing delle case di moda, che nelle scorse edizioni hanno fatto sfilare in passerella corpi non conformi, per poi proporre solo taglie standard in produzione.

La moda ha invece abbracciato la status ambiguity, non si vuole fare show off del proprio status benestante e tanto in passerella quanto sui red carpet di Oscar e Golden Globe abbiamo visto tante celebrities senza gioielli importanti o abiti preziosi.

Anche gli show di Parigi hanno poi confermato l’estetica recession core, con una sovrabbondanza di nero e di beige e pochi tocchi di colore solo nelle tonalità del rosso e del giallo.

Ultimo fil rouge delle passerelle è “I can buy myself flowers” un’ode femminista espressa nella canzone di Miley Cyrus ed interpretata con sfaccettature diverse nelle passerelle di Miu Miu (anche con didascalici dettagli floreali) Valentino o YSL. Power suit, look spettinati, spalle over e culotte gioiello, per una working girl che non può, non deve e non vuole essere perfetta.

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